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   Il castello di Melfi. 2005

Il castello di Melfi si erge a 531 metri di altitudine a ridosso del centro urbano, in una posizione strategica per il controllo delle vie di comunicazione che collegavano Campania, Puglia e Basilicata alle falde del monte Vulture (PZ). La storia del castello è strettamente connessa al sottostante abitato, le cui origini restano, stando ai numerosi rinvenimenti archeologici, risalgono all’età classica. Fu qui che nel 1041 i Bizantini insediarono numerosi milites normanni, col seguito di servientes e pedites, reduci dalle operazioni militari condotte contro i musulmani in Sicilia.

Da Melfi i normanni partirono alla conquista del Meridione e, nel 1059, papa Niccolò II conferì a Roberto il Guiscardo il titolo di duca di Puglia e Calabria. Melfi, la “principal cité”, che per i transalpini era stata sin dall’inizio un luogo “commune a touz” (Amato di Montecassino), rappresentava ormai il centro propulsore della dominazione normanna. Dal sodalizio tra i normanni e la Chiesa, si ebbero nella città lucana diversi concili papali: nel 1067 con Alessandro II, che diede udienza a Gisulfo di Salerno e agli Altavilla; nel 1089 con Urbano II, che vi bandì la prima crociata; e nel 1101 con Pasquale II, fautore di un’assise dei conti normanni. Sempre a Melfi, nella dieta del 1129 Ruggero II annunciò la costituzione del Regnum Siciliae. Per quanto concerne la struttura del castello sembrerebbe che nell’XI secolo, esso fosse privo di una struttura castellare complessa e articolata, così come apparirà nel secolo successivo con la creazione di una robusta costruzione quadrangolare sulla collina dominante l’abitato. All’impianto originario si aggiunse poi l’opera di ristrutturazione predisposta da Federico II nel 1221: l’imperatore adibì il castrum a tesoreria regia ma anche a prigione, visto che il saraceno Othman di Lucera vi fu incarcerato e dovette pagare 50 once d’oro per riacquistare la libertà.

Ma il castello di Melfi era pure il simbolo del potere imperiale, e dentro le sue mura vennero approntate nel 1231 le famose Costituzioni Melfitane, il corpus legislativo federiciano elaborato da Pier delle Vigne in collaborazione con Jacopo da Capua e altri funzionari di corte. Agli interventi federiciani fecero seguito quelli del periodo angioino e aragonesi. Soprattutto evidenti sono le tre torri quadrate (semplices) e le tre pentagonali (duplices) della fine del XIII secolo dovute a Jean de Toul e Pierre de Angicourt.


 

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Legenda:

1) Torre dell'Orologio
2) Torre dei Cipressi
3) Torre della Segreteria
4) Torre Ovest
5) Torre dei Sette Venti
6) Torre Angioina
7) Torre del Marcangione
8) Torre della Cappella gentilizia
9-11) Palazzo baronale Doria
12) Corpo di guardia del XVII secolo
13) Cappella gentilizia
14) Aatrio con scalone d'onore
15) Cortile della cisterna
16) Corte principale
17) Sala del Trono
18) Spalto
19) Ponte
20) Torre antica inglobata nel palazzo baronale

 

Allo stato attuale il castello risulta inserito nel sistema difensivo che comprende anche il nucleo più antico della città. Esso è costituito da un fossato e da una cortina muraria in cui si alternano dieci torri, le citate tre a pianta pentagonale e le tre quadrate, cui si devono aggiungere altre quattro torri.

Dal 1271, sono tenute alla manutenzione del castello le località di Melfi, Monticchio, S. Andrea e Venosa. Il 4 agosto 1277 la Curia Regia, ritenendo che dovessero essere completate la stalla, la torre e i muri, nomina Riccardo da Foggia con l'incarico di magister affinché provveda di procurare manovali (manipuli) ed asini (somerii) per il trasporto del materiale necessario. Nel documento angioino si possono trovare le notizie riguardanti la richiesta di altri cavatori, sterratori (scappatores lapidum) e muratori (magistros muratores), nonché la richiesta di travi di legno fatta dal citato magister carpenterius Jean de Toul.

Dopo gli Angiò il castello passò agli Acciaioli (1346-1392), ai Marzano (fino al 1416), ai Caracciolo, che realizzarono la cinta della città, e infine ai Doria che presero in consegna anche il castello di Lagopesole, vita che viene documentata anche dalla ceramica maiolica dipinta in blu in entrambi i siti. Sulle guarnigioni del castello di Melfi nulla è dato sapere per il periodo antecedente agli angioini.

Nel 1269 vi troviamo impegnato un certo Nicholao quale castellano; Bernardo de Lucinago o Lucenay, milite, ricopre la carica di castellano nel 1270-1271; col nome di Bernardo de Sanluc tra il 1271-1272; lo stesso nel 1278 è al comando di 20 servientes; Antelmo de Montiliis milite, è castellano dal 17 dicembre 1278 al 16 settembre 1281. Nel 1280 i servientes sono ancora 20 mentre nel 1282 vengono aggiunti altri 38 addetti (30 mandati dalla Curia Regia e 8 dal Giustiziere di Basilicata). Tale aumento del numero dei componenti la guarnigione del castello fu dettato dalla grave situazione politica che scaturì dai cosiddetti vespri siciliani, per cui le guarnigioni delle principali fortezze del Regno furono rinforzate. Nel 1292 il castellano era il miles Alberto de Villamastria o Villemestrie. Anche per quanto riguarda il pagamento delle guarnigioni dobbiamo riferirci ancora una volta al periodo angioino:

Nel 1269 il pagamento della guarnigione è così suddiviso:

un castellanus miles riceve 2 tarì al giorno;

un serviens riceve 8 grana al giorno;

Nel 1296 il pagamento della guarnigione è così suddiviso:

un castellanus riceve 2 once d'oro al mese;

un serviens riceve 2 tarì al mese;

L'approvvigionamento del castello era riservato ai Secreti del Regno sotto il controllo del provisor castrorum. La fornitura di frumentum et alia victualia, vinum, sal, oleum, ferrum et res alie era regolata da precise norme comuni in tutto il Regno sia in età sveva quanto in età angioina. Nel castello, a parte quanto necessario per il fabbisogno quotidiano della guarnigione, veniva sistemata una scorta di frumento e di altri viveri. Nel 1275 si calcolavano, per ogni due servientes , due tomoli di frumento e un tomolo e mezzo di miglio al mese. Tale scorta doveva essere rinnovata ogni anno nel mese di marzo. Per la munitio del castello vi erano a disposizione vigne, frutteti, mulini, orti e altre terre.

Nel corso della cosiddetta “guerra del vespro” nel castello si tenne un importante Parlamento generale,  voluto da Carlo II per decidere sul corso degli eventi: gli aragonesi si erano spinti ormai fino al Cilento. A tale assemblea parteciparono i principali baroni e ufficiali del Regno (8 settembre 1290).

Campagna, 21/07/05

arch. Lucio Ganelli